LA FORESTA TROPICALE STA SCOMPARENDO!
UN GRIDO D’ALLARME
UNA RICHIESTA D’AIUTO
Biodiversità come banca genetica
Per secoli: la foresta tropicale e’ stata un paradiso di natura incontaminata, la massima espressione della vita, il piu’ bell’ornamento del nostro pianeta.
Ha costituito lo scrigno per una ricchezza biotica che supera ogni immaginazione, accogliendo piu’ del 70% di tutte le specie animali e vegetali.
Gli uomini indigeni della foresta l’hanno sempre venerata e ne hanno fatto un uso saggio e sostenibile.
Ora: negli ultimi 50 anni il tasso di crescita della popolazione, la maggiore richiesta di terra, il desiderio di rapidi guadagni, le tecnologie che permettono di tagliare un albero secolare in pochi minuti e dlsboscare qualsiasi tipo di terreno hanno portato alla distruzione di meta’ delle foreste tropicali esistenti e negli anni ’80 e ’90 il tasso di deforestazione e’ raddoppiato. Ogni minuto di ogni giorno viene distrutta nel mondo un’area di foresta tropicale grande quanto 8 campi di calcio.
COSA SONO
Le foreste tropicali coprono soltanto il 6% della superficie terrestre (1,2 miliardi di ettari) ma ospitano più del 70% di tutte le specie viventi del pianeta. Questo dato da solo dovrebbe fame territori strategici, un bene comune per tutta l’umanità. La realtà è molto diversa. Esse vengono anche chiamate foreste pluviali, un termine in un certo senso improprio perchè in molte di esse talvolta non piove per mesi e l’aria è secca. Il termine “foresta pluviale” fu coniato nel 1898 da un botanico tedesco per descrivere quelle foreste che crescono in condizioni di umidità costante e con una piovosità di almeno 2000 mm distribuita nell’arco dell’anno. La zono del globo dove si trovano le foreste tropicali è la fascia compresa fra l’equatore e 10° di latitudine (nord e sud), una zona in cui le precipitazioni sono in genere abbondanti, l’umidità elevata e le temperature prossime a quelle del corpo umano. Oltre che dal fattore climatico, il carattere della foresta è determinato dalla natura del terreno che può permettere lo sviluppo solo di determinate specie arboree e la conseguente presenza di certe specie animali e non di altre. Un secondo fattore determinante è l’altitudine, per cui le foreste tropicali possono essere grossolanamente suddivise in foreste di pianura e foreste di montagna. Le foreste di pianura, come quelle pluviali del bacino amazzonico, sono di gran lunga le più vaste, ma essendo relativamente le più accessibili sono anche quelle maggiormente danneggiate e disboscate e quindi quelle più in pericolo. Esse costituiscono l’ambiente vegetale più prolifico del globo; la volta arborea può superare i 45 metri d’altezza e vi si trovano una accanto all’altra innumerevoli varietà di alberi. Alcuni, chiamati emergenti svettano oltre la volta raggiungendo un’altezza di 60 metri con tronchi dritti e privi di rami fino a 45-50 metri. Il più alto albero misurato raggiungeva gli 83 metri d’altezza. Sono questi gli alberi dal legname più pregiato. Due tipi particolari di foresta di pianura sono la foresta a mangrovie che si sviluppa nelle acque costiere salate e ricche di limo e la foresta alluvionale che si trova lungo le sponde dei corsi d’acqua all’interno della foresta pluviale, dove vaste aree vengono periodicamente inondate d’acqua dolce. E’ il caso tipico dell’igapò la foresta inondata del Bacino del Rio delle Amazzoni. Gli alberi delle foreste pluviali di montagna raggiungono un altezza molto minore, la loro crescita è rallentata da un insieme di fattori, una più bassa temperatura, precipitazioni più incostanti e mancanza di sostanze nutrienti a causa della maggior altitudine. Predominano quindi alberi nodosi e contorti ricoperti di abbondanti muschi e una miri ade di altre piante epifite. Questo tipo di foresta svolge un ruolo chiave per la protezione dell’ambiente, infatti senza di essa nelle zone di montagna si verificherebbe un’ erosione del suolo con conseguente abbattimento sulla pianura di violente inondazioni di portata devastante. Con l’effetto spugna costituiscono un serbatoio idrico fondamentale. Le foreste tropicali a seconda di clima, altitudine, piovosità comprendono quindi molte tipologie, qui di seguito vengono elencate le caratteristiche delle 4 categorie principali, ma basti pensare che nella piccola Costa Rica (51.000 Km2) si possono ritrovare ben 12 differenti habitat forestali.
I PRINCIPALI TIPI DI FORESTE
1) FORESTA TROPICALE SECCA O DECIDUA (dry forest): precipitazioni fra 800 e 2100 mm, temperatura superiore ai 24° C, foresta di pianura; due strati principali di vegetazione. il primo alto circa 30 m costituisce un vero e proprio tetto naturale al di sotto del quale si estende un secondo piano alto da 5 a lO m. La maggioranza degli alberi durante la stagione secca perde le foglie e tutte le energie sono devolute alla produzione di frutti e semi. Farfalle, api e pipistrelli svolgono il prezioso compito di impollinatori e provvedono a disperdere anche i semi. E’ la foresta piu’ minacciata in Costa Rica, ne rimane solo il 7% dell’intero territorio e per proteggerne quel che rimane il governo ha istituito i parchi nazionali di Santa Rosa, Palo Verde e Barra Honda.
2) FORESTA TROPICALE UMIDA E DI TRANSIZIONE (wet forest): Precipitazioni i più’ elevate, In media 3-4000 mm, temperature elevate > 24° C, sotto I 1200 m; contiene sia piante decidue che sempreverdi. La volta supera i 35 m. Sono presenti molti strati di vegetazione. Vi sono da 50 a oltre 100 specie arboree per ettaro; è rarissimo trovare specie dominanti. E’ il principale tipo diforesta in Costa Rica (Penisola di Nicoya, Guanacaste).
3) FORESTA TROPICALE PLUVIALE (rain forest): temperatura più bassa, 18-24° C, precipitazioni abbondanti, anche fino a 8000 mm, principalmente di pianura e di collina (Amazzonia), altitudine fino ai 1200 m., quindi pluviali di montagna. Condizioni climatiche piuttosto costanti durante tutto l’anno; piante sempreverdi e igrofile con strati e inestricabili viluppi nel sottobosco. le chiome possono arrivare anche a 45-55 m d’altezza. In Costa Rica la troviamo principalmente in Corcovado.
vedi articolo del National Geographic Education
4) FORESTA TROPICALE NEBBIOSA (cloud forest): si trova ad altitudini elevate (>1500 m), la temperatura scende a 6-12° C.. E’ costantemente avvolta dalle nuvole in quanto l’aria ascendente espandendosi si raffredda e si avvicina al punto di condensa. La vegetazione e’ rigogliosissima, compatta, sempreverde presenta una ridotta stratificazione; i tronchi sono ricoperti da muschi, licheni, orchidee e poche bromeliacee epifite; le chiome degli alberi sono piu’ ristrette ed arrotondate, i rami grossi, corti e contorti. Ricopre i fianchi della cordigliera centromeridionale e dei vulcani. Molti importanti fiumi nascono all’interno di queste foreste. Per proteggerla il governo di Costa Rica ha creato i parchi nazionali Rincon de la Vieja, Braulio Carrillo, Chirripo’, Amistad e Poas.
PERCHE’ SONO IMPORTANTI
E’ stato spesso detto che le foreste tropicali costituiscono i polmoni del pianeta Terra, infatti insieme al plancton degli oceani esse sono di fatto i principali produttori di ossigeno. Attraverso il processo della fotosintesi, le foglie degli alberi agiscono come minuscoli pannelli solari trasformando in zuccheri e cellulosa l’energia solare e l’anidride carbonica presente nell’atmosfera. – Oltre a produrre ossigeno, un gas fondamentale per la vita, le piante quindi assorbono Co2 un gas velenoso prodotto in grande quantità dalla combustione di carburanti (carbone, gas, petrolio) da parte delle nostre industrie, dal traffico veicolare e dal riscaldamento in costante aumento. Attualmente ciminiere e gas di scarico immettono nell’atmosfera circa 5 miliardi di tonnellate di Co2. In parte deriva dagli I stessi incendi provocati nella foresta tropicale. Ogni anno solo per questi ultimi vengono scaricati nell’atmosfera due miliardi di tonnellate di Co2 (16 milioni di Km di foresta bruciata nell’ultimo anno!). L’aumentata quantità di Co2 registrata nell’atmosfera sta producendo uno scudo di gas che provoca un effetto speciale, denominato effetto serra, in quanto parte del calore prodotto dai raggi solari e che viene riflesso dalla superficie terrestre, non può disperdersi nello spazio, e di conseguenza produce un lento ma costante aumento della temperatura della superficie del pianeta. Ciò nel tempo produrrà cambiamenti climatici tali da rendere problematica la vita in alcune parti della terra, sia per effetto dello scioglimento dei ghiacci e conseguente aumento del livello del mare lungo la linea costiera, sia per l’espansione delle zone desertiche. La foresta tropicale a differenza delle foreste dei climi temperati è in attività biosintetica tutto l’anno, ciò significa che la quantità di Co2 che può assorbire è molto maggiore e quindi contribuisce in maniera determinante al controllo dell’ effetto serra. La deforestazione su larga scala in atto nei tropici rischia quindi di portare a modificazioni importanti dei sistemi climatici dell’intero globo. Questi problemi che sembrano non riguardarci da vicino, potrebbero invece molto presto arrivare ad influenzare drasticamente la nostra vita quotidiana, basti pensare ai dati modenesi, le emissioni di Co2 a Modena sono aumentate del 7% nel periodo 1990-1996 e nello stesso periodo il solo consumo di benzina è aumentato del 30%. I I dati degli anni successivi sono ancora più preoccupanti! i La maggior parte dell’acqua presente sul pianeta Terra deriva dalle foreste tropicali pluviali, dove la piovosità può raggiungere gli 8.000 mm/ anno. L’enorme quantità di alberi assorbe -{‘acqua piovana dal terreno, poi la rilascia gradatamente nell’atmosfera attraverso le foglie. Quest’acqua si aggrega formando le nuvole e infine ridiventa pioggia. La vegetazione della foresta tropicale trattenendo l’acqua ~ con un effetto spugna e rilasciandola poco a poco costituisce un serbatoio acquifero ! fondamentale per le necessità della natura e dell’uomo. Dove gli alberi sono stati abbattuti l’acqua piovana non viene trattenuta e dilava il terreno provocando ulteriore erosione e sterilità. Nei luoghi dove la foresta è scomparsa oggi piove molto meno e non cresce quasi più nulla. Ma gli influssi sul clima si sentono anche a decina di migliaia di Km dai tropici. Pompando un enorme quantità di acqua in atmosfera le foreste hanno un’azione rinfrescante nelle regioni tropicali e un’azione riscaldante nelle regioni a latitudini più estreme.
LA BIODIVERSITA’ DELLE FORESTE TROPICALI
Per biodiversita’ si intende la varieta’ della vita in tutte le sue forme, livelli e combinazioni. Alberi, fiori, insetti, uccelli, in definitiva tutti gli organismi viventi sono l’espressione della diversità genetica all’interno dei diversi ambienti ed ecosistemi della Terra. Le foreste tropicali hanno un grado di biodiversità che è il più – elevato di qualsiasi altro habitat conosciuto del nostro pianeta. Più del 70% di tutte le specie animali e vegetali presenti sulla Terra vive nelle foreste tropicali. Mentre in Europa, un appezzamento di un centinaio d’ettari può contenere 25 o 30 specie d’alberi, in un tratto equivalente della foresta tropicale possono crescerne 400. E questa molteplicità vale anche per gli animali. Basti raffrontare il numero di specie presenti in Costa Rica e Italia (vedi tabella). Stabilire perchè le foreste tropicali siano così ricche di specie animali e vegetali è più difficile di quanto sembri poichè più fattori contribuiscono a creare condizioni ideali e rapporti complessi ma delicatissimi. Un fattore comune è l’elevata immissione di energia solare che crea condizioni ideali per la crescita, abbinata a una carenza di sostanze nutritizie nel suolo. Quest’ultime di solito hanno infatti una distribuzione non uniforme e ciò favorisce l’evoluzione di varie specie, attrezzate in vari modi per affrontare la scarsa fertilità del suolo o che sfruttano diverse piccole nicchie ecologiche. Un’altro fattore è la grandezza degli alberi che crea una massiccia struttura tridimensionale stratificata a più livelli, in cui si rifugiano e crescono molte piante di minori dimensioni, compresi rampicanti ed epifite. La varietà di queste piante crea un’invitante gamma di risorse alimentari e di nascondigli per innumerevoli piccoli animali. La mancanza di una stagione invernale che interrompe di solito il ciclo vitale degli insetti e ne riduce il numero ha permesso ad essi di diversificarsi in tutta tranquillità. Ciò però ha portato a una pressione selettiva, a una competizione e a strette forme di simbiosi e mutualismo. Alcuni biologi credono che la pressione esercitata dagli insetti abbia a sua volta influenzato la diversificazione delle piante che hanno dovuto escogitare nuove difese contro di essi, finchè questi si sono evoluti fino a specializzarsi nell’attaccare un solo tipo di pianta. Ma a fronte di un numero così incredibile di specie (forse milioni per i soli insetti!) il numero di individui per ogni specie è limitato e l’areale di presenza spesso circoscritto. Per questa ragione la deforestazione provoca non solo la perdita della foresta ma anche l’estinzione di innumerevoli specie animali molte delle quali non saranno mai neppure conosciute. Una caratteristica interessante delle foreste pluviali è la vasta rete di interrelazioni che si è sviluppata, e che spesso coinvolge una decina di specie o più. Una bromeliacea che immagazzina l’acqua, ad esempio, intrattiene rapporti di scambio con i suoi insetti impollinatori e dispersori dei semi, con l’albero sul quale vive, con i numerosi animali che vivono o si riproducono nelle sue riserve d’acqua e con quelli che vivono nei detriti che circondano le sue radici. Alcuni di questi rapporti sono di dare-e-avere, altri sono invece a senso unico. Molto spesso c’è una relazione centrale, intorno alla quale se ne sviluppano altre, come accade tra le formiche e le piante delle formiche, o tra i fichi e le vespe del fico. Relazioni di questo tipo vengono comunemente denominate “mutualismi a chiave di volta”. La grande preoccupazione di tutti gli ambientalisti è che, a causa della progressiva frammentazione delle foreste pluviali, questo tipo di interdipendenza si rompe qualora venga a mancare un animale o una pianta fondamentali per il meccanismo.
BIODIVERSITA’ COME BANCA GENETICA
Molte coltivazioni nel mondo sono ormai monocolture cui manca la biodiversità genetica. In altre parole, tutte le piante sono quasi identiche perché gli agricoltori hanno selezionato specie molto produttive facili da raccogliere, dotate di un buon sapore e così via. Nel complesso oggi dipendiamo da 8 tipi di coltura, che forniscono il 75% del cibo mondiale. Questa mancanza di varietà genetica ci rende estremamente vulnerabili agli insetti nocivi e alle malattie delle colture alimentari ed ai mutamenti climatici. Se queste monocolture vengono attaccate da una nuova malattia o infestate da nuovi parassiti potrebbero esserne distrutte poiché le piante resistenti sono state escluse dalla selezione. Le specie vegetali selvatiche potrebbero rivelarsi vitali per adattare le varietà attuali a nuove condizioni di vita. La deforestazione provoca non solo l’estinzione delle specie, ma anche la perdita della diversità genetica che può aiutare le specie ad adattarsi a nuove condizioni. Dalla foresta tropicale vengono medicine e prodotti importanti Molti dei principali farmaci in uso nel mondo derivano da piante che crescono nella foresta tropicale. Da arbusti, fiori, semi, radici e funghi si estraggono molti tipi di farmaci, dagli anestetici agli antibiotici, dai contraccettivi ai medicinali per le malattie ! ‘ cardiache, la malaria e molte altre affezioni. Per esempio, la chinina antimalarica viene estratta dalla corteccia di diverse specie della Cinchona, un albero andino. Le specie asiatiche e africane della Rauwolfia forniscono la reserpina, utilizzata per la cura dell’ipertensione e delle malattie mentali. Diverse leguminose, e in particolare il castagno australiano di Moreton Bay (Castanospermum australe), forniscono la castanospermina, che sperimentalmente offre buone speranze nella lotta contro l’AIDS. E’ stato calcolato che più di tre miliardi di persone si servono di farmaci tradizionali, per la maggior parte vegetali, per la cura delle malattie; in India e in Cina 1’80-90% delle medicine tradizionali sono a base di piante, e nella sola Cina vengono utilizzate, per i trattamenti a base di erbe, 5000 specie diverse. Nel mondo intero le foreste rappresentano la più ricca riserva di piante medicinali. In Kenya, ad esempio, il 40% delle medicine a base vegetale proviene da alberi originari della foresta. Gli abitanti della foresta sono i guardiani di un’immensa farmacia naturale che solo loro conoscono ed è probabile che, col loro aiuto si potrebbero scoprire nuove piante medicinali ancora sconosciute. Se le foreste verranno distrutte questi farmaci non verranno mai scoperti. In Amazzonia una équipe etnobotanica ha catalogato più di 1000 specie vegetali usate dagli indios, per la maggior parte come medicine. La foresta tropicale e gli “indios” Se la biodiversità è importante per noi per motivi estetici, medici e genetici, lo è ancora di più per quelle popolazioni indigene che vivono ancora nelle foreste tropicali. A fronte di poche realtà indigene accettabili, nella maggioranza dei casi la situazione è drammatica: gli indios spesso non sono neppure proprietari della terra D su cui vivono da sempre e le foreste che costituiscono il fondamento materiale e spirituale della loro vita vengono progressivamente e inesorabilmente distrutte. E’ drammatico e terribile vedere come etnie che hanno conservato il miglior rapporto che l’uomo possa avere con la Natura siano destinate a scomparire o annullarsi nei dubbi valori della nostra civiltà che non potranno mai essere i loro. Salvando le foreste tropicali con la creazione di nuove riserve di cui gli indios siano custodi e amministratori oltre a dare loro la possibilità di continuare a vivere in equilibrio e rispetto della Natura significa in molti casi salvare la vita di questi uomini da cui abbiamo molto da imparare
COSA LE MINACCIA
Le foreste tropicali offrono un vasto assortimento di risorse in regioni del mondo fra le più povere e gravate da una sempre più crescente sovra popolazione. I Paesi di queste aree del mondo stanno lottando per raggiungere un miglior livello di vita e la via di questo sviluppo prevede lo sfruttamento massiccio delle risorse naturali, che per la maggior parte sono costituite dalle foreste o sono presenti in esse, e un’industrializzazione di tipo occidentale. Possiamo quindi prevedere che per i prossimi anni la pressione sulle foreste aumenterà sempre di più. Se consideriamo che già il 50% è stato distrutto e circa il 30% lo sarà nei prossimi 20-30 anni il quadro per il futuro si presenta drammatico. I Paesi poveri non sono tuttavia i soli ad avere delle aspettative sulle foreste tropicali; sono le ricche nazioni industriali di cui facciamo parte a generare la domanda che sorregge il commercio di legname tropicale, ed il mercato del bestiame da macello che bruca i pascoli una volta ricoperti dalla foresta. A tutto questo si aggiunge il cappio del debito internazionale sempre in aumento, tra le nazioni industriali e quelle del Terzo Mondo che spesso costringe i Paesi che possiedono delle foreste a sottoporle ad uno sfruttamento eccessivo.
L’impatto dell’agricoltura
Finora la maggior parte della deforestazione si è attuata senza nessun tipo di controllo o pianificazione da parte soprattutto di coloni in cerca di terre da coltivare che hanno abbattuto, bruciato o utilizzato per l’estrazione del legname migliaia e migliaia di Km2 di foreste ancora vergini. Il risultato è una grave degradazione ambientale. Il deforestamento a scopo agricolo è la causa principale della distruzione della foresta tropicale. Grandi estensioni di foresta vengono abbattute per ricavarne terreno coltivabile. I contadini abbattono appezzamenti di foresta e usano il terreno per coltivare di che sfamarsi. Il tipo di coltivazione mobile tipo “abbatti-e-brucia”, l’unico a poter essere praticato, dato il terreno povero di sostanze nutritizie è quasi sempre insostenibile. L’ecosistema viene distrutto in modo definitivo e la terra deve essere abbandonata dopo qualche anno; i coloni possono solo spostarsi altrove e ricominciare lo stesso processo distruttivo. In alcuni di questi terreni si coltivano prodotti come tè e caffè, che vengono poi esportati nei Paesi più ricchi. Miseria, sovra popolazione e distribuzione ineguale delle proprietà terriere sono le vere cause che costringono i coloni in una via finora senza molte alternative.
L’estrazione del legname
Per i Paesi tropicali il legname rappresenta un’importante fonte di valuta straniera. Ilgiro d’affari annuale del commercio di legname supera i 10 miliardi di dollari, con una produzione di circa 30 milioni di metri cubi di tronchi grezzi. I grandi alberi tropicali, vengono tuttora abbattuti per ricavare legname prezioso da esportare nei paesi ricchi che ne fanno sempre più richiesta. Solo il 50% circa delle varie specie è sfruttato localmente e solo un numero relativamente ristretto di specie è ambito sul mercato internazionale, ma ciononostante anche il taglio più selettivo distrugge sostanzialmente la foresta in quanto l’abbattimento di un esemplare provoca la caduta anche degli alberi vicini e i pesanti macchinari di trasporto danneggiano piante e suolo. I commercianti di legname costruiscono strade per poter arrivare alle zone di taglio e trasportare via i tronchi. Le stesse strade vengono poi usate anche dai contadini che penetrano quindi sempre più nella foresta a peggiorare il danno. I delicati equilibri interspecifici vengono compromessi in modo irreparabile. Non muore solo un albero, insieme ad esso scompaiono intere nicchie ecologiche.
L’allevamento
Pur rappresentando il terzo stadio del degrado forestale, l’allevamento è stato spesso all’origine dell’intero ciclo distruttivo. Nel corso degli ultimi trent’anni l’allevamento di bestiame da macello ha messo seriamente in pericolo le foreste tropicali dell’America Latina. In America Centrale e Brasile il disboscamento di immense aree di foresta è stato incoraggiato dai governi con particolari agevolazioni fiscali e la concessione di sussidi da parte della Banca Mondiale, allo scopo di produrre carne di manzo a buon mercato per il consumo nazionale ma soprattutto per l’esportazione sui mercati dei fast food nordamericani e europei. In vent’anni nei Paesi centro americani più di un quarto di foreste tropicali è stato abbattuto per fare posto all’allevamento. Persino l’allevamento di solito non è praticabile per più di una decina d’anni per cui i mandriani si spostano verso nuove aree quando la fertilità del terreno diminuisce e la produttività comincia a crollare. La follia di questo tipo di produzione è illustrato nella scheda “hamburger connection”.
Attività mineraria
Per molti paesi tropicali, le foreste non sono solo una fonte di legname pregiato e
terre da coltivare: sotto gli alberi possono nascondersi, infatti, ingenti ricchezze minerarie e spesso i fiumi racchiudono un potenziale enorme come fonte rinnovabile di energia idroelettrica. Tra i fattori che minacciano in modo diretto le foreste pluviali, la deforestazione dovuta alle attività estrattive è tra i minori, anche se le vie d’accesso che vengono aperte e il livello di sviluppo generalmente più alto nelle aree in cui si trovano le miniere sono spesso un richiamo per i coloni in cerca di terra. Il Bacino amazzonico contiene certamente enormi ricchezze minerarie e petrolifere, come pure alcune regioni della Nuova Guinea, delle Filippine e dell’Indonesia. Il progetto di estrazione mineraria forse più ambizioso e di più vaste dimensioni è il Programma Brasiliano del Grande Carajas, per il quale è previsto un costo di 70 miliardi di dollari USA e che interesserà un’area dell’Amazzonia orientale grande quanto la Francia. Al centro del programma sono gli enormi giacimenti di minerali di ferro che si trovano nel sottosuolo della foresta. Sono in costruzione almeno 18 fonderie di ghisa; la prima, che si trova a Maraba nello stato di Para, è entrata in funzione nel marzo del 1988. Queste fonderie saranno alimentate con il carbone di legna ricavato dalla foresta pluviale vergine. Quando i 18 impianti avranno tutti cominciato a produrre, circa 2300 chilometri quadrati di foresta vergine saranno distrutti ogni anno per fornire il carbone di legna necessario. Altre pressioni di tipo industriale, che minacciano le foreste tropicali sono quelle derivanti dalle trivellazioni petrolifere e dall’estrazione illegale dell’oro da masse di contadini senza terra. Nell’isola di Mindanao, nelle Filippine meridionali, in Costa Rica e in varie regioni dell’Amazzonia, la corsa all’oro ha avuto come conseguenza l’inquinamento dei fiumi col mercurio (utilizzato per separare l’oro dai minerali) e lo smembramento delle popolazioni tribali. In Brasile, migliaia di cercatori d’oro, i garimperos, hanno creato miniere a cielo aperto nella foresta pluviale amazzonica, abbattendo alberi e scavando enormi buche , nel terreno. Inoltre, i materiali di scarico delle miniere hanno inquinato i fiumi.
HAMBURGER CONNECTION
Non è facile a prima vista collegare gli hamburger venduti nei fast food con la deforestazione dei tropici e l’estinzione di migliaia di specie animali e vegetali. Eppure la cosiddetta “hamburger connection” rappresenta un classico esempio di come un qualunque cittadino occidentale possa comandare a distanza la distruzione dei tropici. Gli Stati Uniti sono famelici divora tori di hamburger e da soli importano il 33% di tutta la carne di manzo del mercato mondiale, per il consumo non vitale di appena 1/20 della popolazione del pianeta. Gran parte della carne “a basso costo” di Panama, Costa Rica Guatemala e altri paesi dell’America centrale e latina passa la frontiera americana per finire tra panini e ketchup. In quei paesi per allevare bestiame si brucia la foresta. Nel 1980 fu stimato che il 72% della deforestazione amazzonica in Brasile era volta ad ottenere pascoli per il bestiame. Analogamente la CEE importa carne dall’America tropicale e dall’Africa. Per USA e CEE i costi monetari sono estremamente bassi ma i costi energetici ambientali e sociali su scala mondiale sono immensi e il disastro ecologico è irreparabile. Per produrre la carne di un hamburger in un’area tropicale umida è necessario uno spazio pari a un salotto medio di circa 12 mq. In quell’area distrutta per produrre circa 100 grammi di carne macinata erano mediamente ospitati oltre cinquecento chili di materia vivente, piante, fiori, farfalle, uccelli, scimmie. Uno spreco energetico immenso per riparare al quale sono necessari tempi lunghissimi. Si calcola che una foresta tropicale primaria si possa ricostruire in un periodo variabile da seicento a mille anni In questo senso molto può fare il consumatore occidentale, astenendosi o limitando il consumo di carne importata da questi Paesi e molto più potrebbero i governi occidentali varando norme e politiche economiche più rispettose della natura tropicale.
QUALCHE NUMERO SULLE FORESTE
50% E’ la percentuale di foresta persa rispetto alla copertura originaria, la maggior parte negli ultimi trent’anni
12% E’ la porzione di foresta sul pianeta che esiste come ecosistema intatto, il resto è in qualche modo alterato dall’uomo
1% E’ la percentuale di foresta che si perde ogni anno a causa della deforestazione
3 Sono le nazioni del mondo – Russia, Canada e Brasile – che ospitano il 70% di foresta vergine
85 Sono le nazioni del mondo che hanno perso per intero tutta la loro foresta originaria
400 Sono i milioni di persone al mondo la cui esistenza dipende direttamente dalla foresta pluviale tropicale
6% E’ la percentuale di pianeta coperta dalla foresta pluviale tropicale
50% E’ la percentuale di specie viventi sulla Terra – animali e vegetali – ospitate dalla foresta pluviale tropicale
1/5 delle specie di uccelli e di piante del pianeta si sono sviluppate nel bacini amazzonico
25% delle medicine utilizzate sul pianeta proviene da specie vegetali (per il 70% dalla foresta pluviale)
99% E’ la percentuale di piante della foresta tropicale ancora da studiare dal punto di vista farmacologico
QUANTO COSTEREBBE RIMPIAZZARLE?
Se volessimo riprodurre artificialmente quanto ci danno gratis, le foreste, quanto spenderemmo?
Un conto elaborato dall’Università dell’Idaho fornisce cifre da capogiro.
Funzione | Costo in Natura | Costo per l’Uomo in Euro |
Purificazione acqua | 0 | 0,62/litro |
Purificazione aria | 0 | 0,04/litro |
Moderazione del clima | 0 | 19.600/giorno |
Protezione dal vento | 0 | 5.200/ettaro |
Geni selvatici | 0 | 9.800/gene |
Turismo | 0 | 1.800.000/parco |
Controllo alluvioni | 0 | 21.200/ettaro |
UN ALBERO: 50 ANNI SPESI BENE
Produzione di ossigeno | € 27.300 |
Riduzione dell’inquinamento dell’aria | € 54.200 |
Controllo dell’erosione | € 27.300 |
Riciclaggio di sostanze nocive | € 32.500 |
Totale Euro | € 141.300 |