LA FORESTA TROPICALE STA SCOMPARENDO!
UN GRIDO D’ALLARME
UNA RICHIESTA D’AIUTO
Biodiversità come banca genetica
Per secoli, la foresta pluviale è stata un paradiso di natura incontaminata, la massima espressione della vita e il più splendido ornamento del nostro pianeta.
Ha rappresentato un tesoro di biodiversità oltre ogni aspettativa, ospitando oltre il 70% di tutte le specie animali e vegetali.
Gli indigeni della foresta l’hanno sempre onorata, utilizzandola in modo saggio e sostenibile.
Nel corso degli ultimi 50 anni, l’aumento della popolazione, la crescente domanda di terre, la ricerca di rapidi profitti e le tecnologie che consentono di abbattere alberi secolari in pochi minuti e disboscare qualsiasi tipo di terreno, hanno causato la distruzione di metà delle foreste tropicali esistenti. Negli anni ’80 e ’90, il tasso di deforestazione è addirittura raddoppiato. Ogni minuto, un’area di foresta tropicale pari a otto campi da calcio viene distrutta nel mondo.
COSA SONO
Le foreste tropicali ricoprono solo il 6% della superficie terrestre, pari a 1,2 miliardi di ettari, ma ospitano oltre il 70% delle specie viventi del pianeta. Questo dato dovrebbe renderle territori di valore strategico, un patrimonio comune per l’umanità. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Conosciute anche come foreste pluviali, un termine in parte impreciso poiché possono attraversare periodi di siccità, queste foreste furono descritte nel 1898 da un botanico tedesco come ecosistemi con umidità costante e piovosità di almeno 2000 mm all’anno. Le foreste tropicali si trovano tra l’equatore e 10° di latitudine nord e sud, zone caratterizzate da abbondanti precipitazioni, alta umidità e temperature simili a quelle corporee. Il loro carattere è influenzato non solo dal clima, ma anche dal tipo di suolo, che determina quali specie vegetali e animali possono prosperare. L’altitudine è un altro fattore chiave, consentendo di suddividere le foreste tropicali in foreste di pianura e di montagna. Le foreste di pianura, come quelle nel bacino amazzonico, sono le più estese, ma anche le più minacciate a causa dell’accessibilità e del disboscamento. Questi ecosistemi sono tra i più ricchi al mondo; la volta arborea può superare i 45 metri, con una varietà di alberi che crescono fianco a fianco. Gli alberi emergenti possono raggiungere i 60 metri, con tronchi diritti e privi di rami fino a 45-50 metri. Il più alto albero misurato era di 83 metri. Questi alberi sono particolarmente pregiati per il loro legname. Due tipi particolari di foreste di pianura sono le foreste a mangrovie, che crescono in acque costiere saline e limose, e le foreste alluvionali, situate lungo i corsi d’acqua interni, periodicamente inondate da acqua dolce, come l’igapò nel bacino del Rio delle Amazzoni. Le foreste pluviali di montagna presentano alberi più bassi a causa di temperature più fresche, precipitazioni meno costanti e carenza di nutrienti. Predominano alberi nodosi e contorti, coperti di muschi e piante epifite. Queste foreste sono fondamentali per la protezione ambientale, prevenendo l’erosione del suolo e contenendo l’impatto devastante delle inondazioni nelle pianure grazie al loro effetto spugna. Le foreste tropicali, in base a clima, altitudine e piovosità, comprendono diverse tipologie. In Costa Rica, ad esempio, un piccolo paese di 51.000 km², si trovano ben 12 habitat forestali differenti.
I PRINCIPALI TIPI DI FORESTE
1) FORESTA TROPICALE SECCA O DECIDUA (dry forest): precipitazioni tra 800 e 2100 mm, temperatura superiore ai 24° C, foresta di pianura; due strati principali di vegetazione. Il primo, alto circa 30 m, forma una vera e propria copertura naturale sotto la quale si estende un secondo livello, alto da 5 a 10 m. Durante la stagione secca, la maggior parte degli alberi perde le foglie, concentrando le energie sulla produzione di frutti e semi. Farfalle, api e pipistrelli svolgono un ruolo essenziale come impollinatori e aiutano anche nella dispersione dei semi. È la foresta più minacciata in Costa Rica, con solo il 7% del territorio originario rimasto. Per proteggere ciò che rimane, il governo ha istituito i parchi nazionali di Santa Rosa, Palo Verde e Barra Honda.
FORESTA TROPICALE UMIDA E DI TRANSIZIONE (foresta umida): Caratterizzata da precipitazioni elevate, con una media di 3.000-4.000 mm, e temperature superiori a 24°C, situata sotto i 1.200 m di altitudine. Questa foresta ospita sia piante decidue che sempreverdi, con la volta che supera i 35 m di altezza. Presenta numerosi strati di vegetazione e ospita da 50 a oltre 100 specie arboree per ettaro, con specie dominanti molto rare. È il tipo principale di foresta in Costa Rica, presente nella Penisola di Nicoya e Guanacaste.
3) FORESTA TROPICALE PLUVIALE (rain forest): temperatura tra 18 e 24°C, abbondanti precipitazioni fino a 8000 mm, prevalentemente di pianura e collinare (Amazzonia), altitudine fino a 1200 m, incluse le foreste pluviali montane. Il clima è piuttosto stabile tutto l’anno; piante sempreverdi e igrofile formano strati intricati nel sottobosco. Le chiome possono raggiungere i 45-55 m di altezza. In Costa Rica, è presente principalmente a Corcovado.
Scopri l’articolo del National Geographic Education
FORESTA TROPICALE NEBBIOSA (Cloud Forest): Situata ad altitudini superiori a 1500 metri, presenta temperature tra 6 e 12°C. Costantemente avvolta dalla nebbia, si forma quando l’aria ascendente si espande e raffredda, avvicinandosi al punto di condensazione. La vegetazione è lussureggiante e compatta, sempreverde e con una stratificazione ridotta. I tronchi sono coperti da muschi, licheni, orchidee e alcune bromeliacee epifite. Le chiome degli alberi sono più strette e arrotondate, con rami spessi, corti e contorti. Questa foresta ricopre i fianchi della cordigliera centro-meridionale e dei vulcani, ed è la sorgente di molti importanti fiumi. Per la sua protezione, il governo del Costa Rica ha istituito i parchi nazionali Rincon de la Vieja, Braulio Carrillo, Chirripó, Amistad e Poas.
PERCHE’ SONO IMPORTANTI
Le foreste tropicali sono spesso considerate i polmoni del pianeta Terra, poiché, insieme al plancton marino, sono tra i principali produttori di ossigeno. Attraverso la fotosintesi, le foglie degli alberi funzionano come piccoli pannelli solari, trasformando l’energia solare e l’anidride carbonica atmosferica in zuccheri e cellulosa. Oltre a generare ossigeno, essenziale per la vita, le piante assorbono la CO2, un gas nocivo prodotto in grandi quantità dalla combustione di carbone, gas e petrolio nelle nostre industrie, nel traffico veicolare e nel riscaldamento, che è in costante crescita. Attualmente, le ciminiere e i gas di scarico emettono circa 5 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera, una parte delle quali proviene dagli incendi nelle foreste tropicali. Questi incendi liberano ogni anno nell’atmosfera due miliardi di tonnellate di CO2, con 16 milioni di km di foresta bruciata solo nell’ultimo anno. L’aumento di CO2 nell’atmosfera crea uno scudo gassoso che causa l’effetto serra, trattenendo il calore solare riflesso dalla superficie terrestre e provocando un graduale aumento della temperatura del pianeta. Questo fenomeno porterà a cambiamenti climatici che renderanno difficile la vita in alcune aree del mondo, causando lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello del mare e l’espansione delle zone desertiche. A differenza delle foreste dei climi temperati, quelle tropicali operano biosinteticamente tutto l’anno, assorbendo una maggiore quantità di CO2 e contribuendo significativamente al controllo dell’effetto serra. Tuttavia, la deforestazione su larga scala nei tropici minaccia di alterare i sistemi climatici globali. Questi problemi, apparentemente lontani, potrebbero presto influenzare la nostra vita quotidiana. Ad esempio, a Modena, le emissioni di CO2 sono aumentate del 7% tra il 1990 e il 1996, con un incremento del 30% nel consumo di benzina nello stesso periodo, e i dati successivi sono ancora più allarmanti. La maggior parte dell’acqua terrestre proviene dalle foreste pluviali tropicali, dove le precipitazioni possono raggiungere gli 8.000 mm all’anno. Gli alberi assorbono l’acqua piovana e la rilasciano gradualmente nell’atmosfera attraverso le foglie, formando nuvole che si trasformano nuovamente in pioggia. La foresta tropicale, trattenendo l’acqua come una spugna e rilasciandola lentamente, funge da serbatoio idrico essenziale per la natura e per l’uomo. Dove gli alberi sono stati abbattuti, l’acqua piovana non viene trattenuta, causando erosione e sterilità del suolo. Nelle aree deforestate, le precipitazioni sono diminuite e la vegetazione è quasi scomparsa. Le influenze sul clima si avvertono anche a decine di migliaia di chilometri dai tropici, poiché le foreste, pompando grandi quantità di acqua nell’atmosfera, hanno un effetto rinfrescante nelle regioni tropicali e riscaldante nelle zone a latitudini più estreme.
LA BIODIVERSITA’ DELLE FORESTE TROPICALI
La biodiversità rappresenta la varietà della vita in tutte le sue forme, livelli e combinazioni. Alberi, fiori, insetti, uccelli, in breve, tutti gli organismi viventi, incarnano la diversità genetica nei vari ambienti ed ecosistemi della Terra. Le foreste tropicali vantano il più alto grado di biodiversità rispetto a qualsiasi altro habitat conosciuto sul nostro pianeta. Più del 70% di tutte le specie animali e vegetali risiede in queste foreste. In Europa, un appezzamento di cento ettari può ospitare 25 o 30 specie di alberi, mentre in un’area equivalente delle foreste tropicali ne possono crescere fino a 400. Questo vale anche per gli animali, come dimostra il confronto tra le specie presenti in Costa Rica e in Italia.
Comprendere perché le foreste tropicali siano così ricche di specie è complesso, poiché molti fattori contribuiscono a creare condizioni ideali e relazioni intricate ma delicate. Un elemento comune è l’alta immissione di energia solare, ideale per la crescita, combinata con una carenza di nutrienti nel suolo. Questa distribuzione irregolare favorisce l’evoluzione di specie adattate a sfruttare le piccole nicchie ecologiche offerte. Inoltre, la struttura stratificata degli alberi, che raggiungono altezze notevoli, offre rifugio a molte piante minori, come rampicanti ed epifite. La varietà di queste piante fornisce una ricca gamma di risorse alimentari e nascondigli per molti piccoli animali.
L’assenza di una stagione invernale che normalmente interrompe il ciclo vitale degli insetti ha permesso una diversificazione tranquilla, portando a pressioni selettive, competizione e strette forme di simbiosi e mutualismo. Alcuni biologi ritengono che la pressione degli insetti abbia influenzato la diversificazione delle piante, costrette a sviluppare nuove difese. Tuttavia, a fronte di un numero incredibile di specie, il numero di individui per specie è spesso limitato e il loro areale ristretto. Di conseguenza, la deforestazione non solo distrugge le foreste ma causa anche l’estinzione di numerose specie animali, molte delle quali potrebbero rimanere sconosciute.
Un aspetto interessante delle foreste pluviali è la vasta rete di interrelazioni sviluppata, spesso coinvolgendo numerose specie. Ad esempio, una bromeliacea che immagazzina acqua interagisce con i suoi insetti impollinatori e dispersori di semi, con l’albero su cui vive, e con gli animali che utilizzano le sue riserve d’acqua. Alcune di queste relazioni sono reciproche, altre unidirezionali. Spesso, una relazione centrale genera altre interdipendenze, come tra le formiche e le piante delle formiche o tra i fichi e le vespe del fico, note come “mutualismi chiave di volta”. La crescente frammentazione delle foreste pluviali preoccupa gli ambientalisti, poiché la perdita di una specie fondamentale può interrompere questo delicato equilibrio.
BIODIVERSITA’ COME BANCA GENETICA
Molte coltivazioni globali sono ora monocolture, prive di biodiversità genetica. In altre parole, le piante sono quasi identiche perché gli agricoltori hanno selezionato varietà altamente produttive, facili da raccogliere e dal buon sapore. Attualmente, ci affidiamo a otto tipi di colture che forniscono il 75% del cibo mondiale. Questa scarsità di diversità genetica ci rende estremamente vulnerabili a parassiti, malattie delle colture alimentari e cambiamenti climatici. Se queste monocolture fossero attaccate da nuove malattie o parassiti, potrebbero essere devastate, poiché le piante resistenti sono state escluse dalla selezione. Le specie vegetali selvatiche potrebbero essere cruciali per adattare le varietà attuali a nuove condizioni. La deforestazione non causa solo l’estinzione delle specie, ma anche la perdita della diversità genetica che può aiutare le piante ad adattarsi a nuove situazioni.
Le foreste tropicali offrono non solo un habitat per la biodiversità, ma anche risorse mediche vitali. Molti farmaci importanti provengono da piante delle foreste tropicali. Da arbusti, fiori, semi, radici e funghi si estraggono farmaci come anestetici, antibiotici, contraccettivi e medicinali per malattie cardiache, malaria e altre affezioni. Ad esempio, la chinina antimalarica è estratta dalla corteccia di diverse specie di Cinchona, un albero andino. La Rauwolfia asiatica e africana fornisce la reserpina, usata per trattare l’ipertensione e le malattie mentali. Alcune leguminose, in particolare il castagno australiano di Moreton Bay (Castanospermum australe), producono castanospermina, che promette nella lotta contro l’AIDS.
Si stima che oltre tre miliardi di persone utilizzino farmaci tradizionali, prevalentemente di origine vegetale, per curare malattie. In India e Cina, l’80-90% delle medicine tradizionali si basa su piante, con 5.000 specie diverse utilizzate solo in Cina. Globalmente, le foreste rappresentano la riserva più ricca di piante medicinali. In Kenya, ad esempio, il 40% delle medicine vegetali proviene da alberi forestali. Gli abitanti della foresta, custodi di un’immensa farmacia naturale, potrebbero aiutarci a scoprire nuove piante medicinali. Senza le foreste, questi farmaci potrebbero non essere mai scoperti. In Amazzonia, un team etnobotanico ha catalogato oltre 1.000 specie vegetali usate dagli indios, principalmente come medicine.
Per le comunità indigene delle foreste tropicali, la biodiversità è essenziale non solo per ragioni estetiche, mediche e genetiche, ma anche per la loro sopravvivenza culturale. Spesso, la situazione è critica: queste popolazioni non possiedono le terre su cui vivono, e le foreste, vitali per la loro esistenza, vengono distrutte. È doloroso assistere alla scomparsa o assimilazione di etnie che hanno mantenuto un rapporto armonioso con la natura, verso valori della nostra civiltà che non possono condividere. Proteggere le foreste tropicali attraverso la creazione di nuove riserve, dove gli indigeni siano custodi e amministratori, significa non solo salvaguardare la biodiversità, ma anche difendere queste culture da cui possiamo imparare molto.
COSA LE MINACCIA
Le foreste tropicali rappresentano una fonte ricca di risorse in alcune delle regioni più povere del mondo, che affrontano una crescente sovrappopolazione. I Paesi di queste zone stanno cercando di migliorare il loro tenore di vita attraverso uno sviluppo che implica un intenso sfruttamento delle risorse naturali, prevalentemente forestali, e un’industrializzazione sul modello occidentale. Di conseguenza, nei prossimi anni è previsto un aumento della pressione su queste foreste. Considerando che il 50% delle foreste è già stato distrutto e un ulteriore 30% potrebbe scomparire nei prossimi 20-30 anni, il futuro appare assai critico. Tuttavia, le nazioni industrializzate, di cui facciamo parte, sono anch’esse responsabili, poiché alimentano la domanda di legname tropicale e il mercato del bestiame che pascola su terreni una volta coperti da foreste. A complicare la situazione, il continuo aumento del debito internazionale tra le nazioni ricche e quelle in via di sviluppo spesso costringe i Paesi con foreste a un eccessivo sfruttamento delle loro risorse.
L’impatto dell’agricoltura
Finora, la deforestazione è avvenuta senza controllo o pianificazione, principalmente da parte di coloni in cerca di terre da coltivare. Hanno abbattuto, bruciato o utilizzato per l’estrazione del legname migliaia di chilometri quadrati di foreste vergini, causando una grave degradazione ambientale. Il disboscamento per fini agricoli è la principale causa della distruzione delle foreste tropicali. Grandi aree vengono abbattute per ottenere terreno coltivabile. I contadini eliminano appezzamenti di foresta per coltivare alimenti di sussistenza. La coltivazione itinerante, come il metodo “taglia-e-brucia”, è spesso l’unica opzione, data la povertà del suolo in nutrienti, ma risulta quasi sempre insostenibile. L’ecosistema viene distrutto in modo permanente e la terra deve essere abbandonata dopo pochi anni; i coloni possono solo spostarsi altrove e ripetere il processo distruttivo. Su alcuni di questi terreni si coltivano prodotti come tè e caffè, destinati all’esportazione verso Paesi più ricchi. Povertà, sovrappopolazione e iniqua distribuzione delle proprietà terriere sono le vere cause che costringono i coloni a percorrere una strada finora priva di alternative.
L’estrazione del legname
Nei Paesi tropicali, il legname rappresenta un’importante fonte di valuta estera. Il fatturato annuale del commercio di legname supera i 10 miliardi di dollari, con una produzione di circa 30 milioni di metri cubi di tronchi grezzi. I grandi alberi tropicali vengono ancora abbattuti per ottenere legname pregiato destinato all’esportazione verso i paesi ricchi, dove la domanda è in continua crescita. Solo circa il 50% delle diverse specie viene utilizzato localmente, e solo un numero limitato di specie è richiesto sul mercato internazionale. Tuttavia, anche il taglio selettivo danneggia gravemente la foresta, poiché l’abbattimento di un albero può causare la caduta di quelli vicini, e i macchinari pesanti impiegati per il trasporto danneggiano il suolo e la vegetazione. I commercianti costruiscono strade per raggiungere le aree di taglio e trasportare i tronchi, strade che vengono poi utilizzate dai contadini, i quali penetrano sempre più nella foresta, aggravando il danno. Gli equilibri ecologici vengono compromessi irreversibilmente. Non muore solo un albero; scompaiono intere nicchie ecologiche.
L’allevamento
Sebbene rappresenti la fase finale del degrado forestale, l’allevamento è spesso stato il motore di tutto il ciclo distruttivo. Negli ultimi trent’anni, l’allevamento di bestiame per la macellazione ha minacciato gravemente le foreste tropicali dell’America Latina. In America Centrale e Brasile, il disboscamento di vaste aree forestali è stato incentivato dai governi attraverso agevolazioni fiscali e sussidi concessi dalla Banca Mondiale, con l’obiettivo di produrre carne di manzo a basso costo per il consumo interno, ma soprattutto per l’esportazione nei mercati dei fast food nordamericani ed europei. In vent’anni, nei Paesi dell’America Centrale, oltre un quarto delle foreste tropicali è stato distrutto per fare spazio all’allevamento. Tuttavia, l’allevamento stesso spesso non è sostenibile per più di dieci anni, costringendo i mandriani a spostarsi verso nuove aree quando la fertilità del suolo diminuisce e la produttività scende. Questa strategia insensata è illustrata nella scheda “hamburger connection”.
Attività mineraria
Per molte nazioni tropicali, le foreste non rappresentano solo una fonte di legname pregiato e terreni agricoli: sotto la loro superficie si celano immense ricchezze minerarie e i fiumi offrono un grande potenziale come fonte di energia idroelettrica rinnovabile. Tra le principali minacce alle foreste pluviali, la deforestazione causata dalle attività estrattive non è la più rilevante, ma le vie d’accesso create e il maggiore sviluppo delle aree minerarie attraggono spesso coloni in cerca di terra. Il Bacino Amazzonico è ricco di risorse minerarie e petrolifere, così come alcune regioni della Nuova Guinea, delle Filippine e dell’Indonesia. Uno dei progetti minerari più ambiziosi è il Programma Brasiliano del Grande Carajas, che prevede un investimento di 70 miliardi di dollari e coinvolgerà un’area dell’Amazzonia orientale vasta quanto la Francia. Al centro di questo programma ci sono enormi giacimenti di minerale di ferro nel sottosuolo della foresta. Sono in costruzione almeno 18 fonderie di ghisa; la prima, situata a Maraba nello stato di Para, è operativa dal marzo 1988. Queste fonderie utilizzeranno carbone di legna proveniente dalla foresta pluviale vergine. Quando tutti i 18 impianti saranno attivi, circa 2300 chilometri quadrati di foresta vergine saranno distrutti ogni anno per produrre il carbone di legna necessario. Altre pressioni industriali che minacciano le foreste tropicali includono le trivellazioni petrolifere e l’estrazione illegale dell’oro da parte di contadini senza terra. Nell’isola di Mindanao, nelle Filippine meridionali, in Costa Rica e in diverse regioni dell’Amazzonia, la corsa all’oro ha portato all’inquinamento dei fiumi con mercurio, utilizzato per separare l’oro dai minerali, e alla disgregazione delle comunità tribali. In Brasile, migliaia di cercatori d’oro, noti come garimpeiros, hanno creato miniere a cielo aperto nella foresta amazzonica, abbattendo alberi e scavando enormi buche nel terreno, mentre i materiali di scarto delle miniere hanno inquinato i fiumi.
HAMBURGER CONNECTION
A prima vista, può sembrare difficile collegare gli hamburger venduti nei fast food con la deforestazione dei tropici e l’estinzione di molte specie animali e vegetali. Tuttavia, la cosiddetta “hamburger connection” è un classico esempio di come un qualsiasi cittadino occidentale possa contribuire alla distruzione dei tropici, anche se a distanza. Gli Stati Uniti, grandi consumatori di hamburger, importano il 33% della carne di manzo del mercato mondiale, per soddisfare meno di 1/20 della popolazione globale. Gran parte della carne “a basso costo” da Panama, Costa Rica, Guatemala e altri paesi dell’America centrale e latina viene esportata negli Stati Uniti per finire tra panini e ketchup. In queste nazioni, la foresta viene bruciata per fare spazio all’allevamento di bestiame. Nel 1980, si stimò che il 72% della deforestazione amazzonica in Brasile fosse destinata a creare pascoli per il bestiame. Allo stesso modo, la CEE importa carne dall’America tropicale e dall’Africa. Per USA e CEE, i costi monetari sono bassi, ma i costi energetici, ambientali e sociali a livello globale sono enormi, e il danno ecologico è irreparabile. Produrre la carne di un hamburger in un’area tropicale richiede uno spazio equivalente a un salotto medio di circa 12 mq. In quella zona, distrutta per produrre circa 100 grammi di carne macinata, vivevano oltre cinquecento chili di materia vivente, tra piante, fiori, farfalle, uccelli e scimmie. Si tratta di uno spreco energetico immenso, che richiede tempi lunghissimi per essere riparato. Si stima che una foresta tropicale primaria possa rigenerarsi in un periodo variabile tra seicento e mille anni. In questo contesto, i consumatori occidentali possono contribuire a ridurre il problema limitando il consumo di carne importata da questi Paesi, mentre i governi occidentali potrebbero fare molto di più, adottando norme e politiche economiche più rispettose dell’ecosistema tropicale.
QUALCHE NUMERO SULLE FORESTE
50% – Questa è la percentuale della foresta che è stata distrutta rispetto alla sua copertura originale, un fenomeno avvenuto principalmente negli ultimi trent’anni.
Solo il 12% delle foreste presenti sulla Terra conserva ancora il suo stato di ecosistema intatto; il resto delle aree forestali è stato in vari modi alterato dall’intervento umano.
1% – La quota di foresta che viene distrutta ogni anno a causa dei processi di deforestazione in atto
3 – Sono le nazioni di Russia, Canada e Brasile che detengono il primato a livello mondiale per quanto riguarda la presenza di foreste vergini, ospitando complessivamente il 70% di queste aree incontaminate. Questi paesi sono fondamentali per la conservazione ambientale globale grazie alla vasta estensione di foreste primitive che si trovano nei loro territori.
85 – Sono le nazioni nel mondo che hanno completamente perso le loro foreste primarie originarie
Circa 400 milioni di individui in tutto il mondo fanno affidamento direttamente sulla foresta pluviale tropicale per la loro sopravvivenza quotidiana. Queste foreste offrono risorse essenziali come cibo, acqua e materiali per la costruzione e l’artigianato, oltre a fornire un ambiente naturale che supporta le loro tradizioni culturali e mezzi di sussistenza.
Il 6% del nostro pianeta è ricoperto da foresta pluviale tropicale. Queste foreste sono fondamentali per la salute dell’ecosistema globale poiché ospitano una biodiversità straordinaria. Inoltre, svolgono un ruolo cruciale nella regolazione del clima mondiale e nella produzione di ossigeno, agendo come polmoni verdi della Terra. La loro conservazione è essenziale per mantenere l’equilibrio ambientale e garantire la sopravvivenza di innumerevoli specie.
Circa il 50% di tutte le specie viventi presenti sul nostro pianeta, comprendendo sia animali che piante, trova il proprio habitat naturale all’interno delle foreste pluviali tropicali. Questi ecosistemi, ricchi di biodiversità, ospitano una vasta gamma di organismi, molti dei quali non si trovano in nessun altro luogo sulla Terra.
Circa il 20% delle specie di uccelli e di piante presenti a livello globale ha avuto origine attraverso processi evolutivi nel bacino amazzonico. Questa regione è un punto focale per la biodiversità, ospitando una vasta gamma di specie uniche che si sono sviluppate nel corso di milioni di anni. L’Amazzonia rappresenta un habitat complesso e variegato, che ha favorito l’emergere di una straordinaria diversità biologica.
Un quarto dei farmaci utilizzati a livello globale è ottenuto da specie vegetali, e una vasta maggioranza di questi, pari al 70%, ha origine nella foresta pluviale.
Il 99% rappresenta la percentuale impressionante di piante presenti nella foresta tropicale che attendono ancora di essere esplorate e analizzate dal punto di vista farmacologico. Questo dato sottolinea l’immenso potenziale che queste piante possiedono, poiché molte di esse potrebbero contenere composti chimici unici e preziosi per lo sviluppo di nuovi farmaci. La conoscenza attuale è solo la punta dell’iceberg rispetto a ciò che resta da scoprire in questi ecosistemi ricchi e diversificati.
QUANTO COSTEREBBE RIMPIAZZARLE?
Quale sarebbe il costo di riprodurre artificialmente i benefici che le foreste ci forniscono gratuitamente?
Un conto elaborato dall’Università dell’Idaho fornisce cifre da capogiro.
Funzione | Costo in Natura | Costo per l’Uomo in Euro |
Purificazione acqua | 0 | 0,62/litro |
Purificazione aria | 0 | 0,04/litro |
Moderazione del clima | 0 | 19.600/giorno |
Protezione dal vento | 0 | 5.200/ettaro |
Geni selvatici | 0 | 9.800/gene |
Turismo | 0 | 1.800.000/parco |
Controllo alluvioni | 0 | 21.200/ettaro |
UN ALBERO: 50 ANNI SPESI BENE
Produzione di ossigeno | € 27.300 |
Riduzione dell’inquinamento dell’aria | € 54.200 |
Controllo dell’erosione | € 27.300 |
Riciclaggio di sostanze nocive | € 32.500 |
Totale Euro | € 141.300 |